martedì 28 giugno 2016

Franco Nero sul set di “Rosso Istria”



Padova – La Venice Film è una società di produzione cinematografica e televisiva che ha realizzato documentari, format, programmi e fiction per la televisione, cortometraggi e lungometraggi per il cinema. In questi giorni è alle prese con un nuovo film dal titolo “Rosso Istria” che uscirà agli inizi del prossimo anno. La pellicola è diretta dal giovane attore italo-argentino Maximiliano Hernando Bruno basata sulla sceneggiatura di Antonello Belluco.
Dalla descrizione del film di legge: “Siamo nel settembre del 1943, nei giorni in cui nei territori italiani martoriati dalla guerra scoppia il caos: il maresciallo Badoglio, capo del governo italiano, chiede ed ottiene l’armistizio da parte degli anglo–americani e unitamente al re fugge da Roma, lasciando l’Italia allo sbando. L’esercito non sa più chi è il nemico e chi l’alleato. Il dramma si trasforma in tragedia per i soldati abbandonati a sé stessi nei teatri di guerra, ma anche e soprattutto per le popolazioni civili Istriane, Fiumane, Giuliane e Dalmate, che si trovano ad affrontare un nuovo nemico: i partigiani di Tito, che avanzano in quelle terre, spinti da una furia anti-italiana. In questo drammatico contesto storico, avrà risalto la figura di Norma Cossetto, giovane studentessa istriana, laureanda all’Università di Padova, barbaramente violentata e uccisa dai partigiani titini, per la sola colpa di essere Italiana”.

domenica 26 giugno 2016

Il senso del viaggio in letteratura



Il viaggio non è solo la scoperta di un luogo fisico, ma è, soprattutto, avventura dello spirito, che può modificarci profondamente, modificando la percezione – o la rappresentazione che abbiamo del mondo e di noi stessi. Ed infatti le arti, e la letteratura in particolare, fin dall’antichità, hanno preso in esame il tema del viaggio come cammino dell’uomo alla scoperta del mondo e di sé. Il viaggio, dunque, può essere un percorso esistenziale, può esprimere inquietudine od insoddisfazione di fronte alla banalità ed alla sicurezza del quotidiano; può esprimere il coraggio dell’uomo che accetta di mettersi alla prova, pur consapevole dei rischi di un percorso incerto, per la sfrenata sete di conoscenza, come lo fu per Ulisse. Ma nel corso della storia, la letteratura ci ha consegnato varie interpretazioni del viaggio: se il viaggio nell’antichità comportava prevalentemente mistero, smarrimento, rischi e pericoli, oggi può essere maggiormente sinonimo di svago, piacere ed arricchimento culturale. Ma resta comunque un significato esistenziale che, probabilmente, determinando un senso di vuoto nell’animo umano, deve essere colmato. Rappresentando poi, al contempo, uno spaccato della società del tempo e rapportandosi con questa, attribuisce di volta in volta un significato preciso al tema del viaggio che diventa una combinazione sempre diversa di elementi imprescindibili come scoperta, pericolo, fuga, crescita, esilio, speranza e disperazione. Vediamo allora brevemente il “senso” del viaggio nella storia della letteratura.

Sfumature di anarchia: breve storia di un’idea “minore”

Intorno al termine anarchia, normalmente si pensa al disordine, alla confusione e al caos. Cerchiamo, per quanto possibile, di chiarire alcuni aspetti tenendo conto anche del significato che ha assunto il termine nel corso della storia. Il temine anarchia nasce nell’antica Grecia come accezione puramente negativa per indicare la degenerazione dello stato e come mancanza di regole e ordine. Il primo a parlare di anarchia in senso negativo fu Eschilo nella parte finale de I sette contro Tebe, ripreso poi da Sofocle. Anche Platone ne La Repubblica parla di anarchia in senso spregiativo: “Non è inevitabile che in uno stato siffatto il principio di libertà si allarghi a tutto? – Come no? – E così, mio caro, dissi, vi nasce l’anarchia e si insinua nelle dimore private e si estende fino alle bestie”.
Anche se nell’antica Grecia non mancano casi di pensatori anti-sistema, come Diogene di Sinope, Zenone di Cizio, Epicuro e altri, bisognerà attendere l’età moderna per iniziare a cogliere un’idea tendenzialmente positiva del termine anarchia, soprattutto grazie a Thomas More e ai suoi scritti, tra cui la sua opera più famosa dal titolo Utopia. In seguito, nell’Illuminismo, diversi esponenti hanno teorizzato il concetto di anarchia tra cui il filosofo Jean-Jacques Rousseau, il prete ateo Jean Meslier, il Marchese de Sade e in Denis Diderot. Anche Kant nella Critica del giudizio parla di un Regno dei fini, una società ideale che può essere realizzata attraverso l’esercizio della libertà umana per mezzo della ragione.
Durante la rivoluzione francese, Jacque Pierre Brissot (1754 – 1793), politico e giornalista francese, morto ghigliottinato durante il Regime del Terrore, utilizzò per primo i termini di anarchia e anarchismo. Molti gruppi radicali volevano infatti l’abolizione dello Stato e della proprietà privata come i così detti Arrabbiati guidati dall’ex prete Jacque Roux o gli Eguali di François-NoëlBabeuf.

Hannah Arendt e la capacità di pensare

Hannah Arendt (Linden, 1906 – New York, 1975) filosofa e storica tedesca, analizzò la condizione umana nei sistemi totalitari sotto una lente nuova, unita all’importanza della capacità di giudizio. Nel 1940 fu costretta ad emigrare negli Stati Uniti perché ebrea. Ebbe importanti maestri tra cui Edmund
Husserl, Martin Heidegger e Karl Jaspers. Della sua vasta produzione ricordiamo Le origini del totalitarismo del 1951, Vita Activa del 1958 e La banalità del male – Eichmann a Gerusalemme del 1963. La sua riflessione filosofica si incentra soprattutto su temi quali il potere politico, il totalitarismo del fascismo, del nazismo e del comunismo, il razzismo, l’Olocausto, il rapporto tra religione e politica e la conseguenza del male nella condizione umana.
Ne Le origini del totalitarismo spiega come i regimi totalitari basino la loro politica sull’idea di conquistare il mondo; come la storia ci insegna, ogni ideologia assoluta ha sempre cercato di imporre regole e leggi sradicando con violenza usi e costumi di altri popoli. La Arendt spiega: “I regimi totalitari basano realmente la loro politica estera sul presupposto dell’effettivo conseguimento del fine ultimo di conquista del mondo, e non lo perdono mai di vista per quanto remoto possa apparire […] essi non considerano quindi alcun paese come perpetuamente straniero, ma, anzi, ogni paese come un loro potenziale territorio”. Di conseguenza le ideologie totalitarie non tengono mai conto della storia e delle tradizioni di un popolo. Si procede all’annientamento della loro cultura e all’instaurazione della politica del terrore per mezzo dei campi di concentramento nei quali gli individui sono ridotti a entità superflue. Per la Arendt esistono profonde analogie tra nazismo e stalinismo perché in entrambi i sistemi, vengono negati i più elementari diritti civili.

martedì 7 giugno 2016

L'eredità di Karl Marx

Karl Marx, nato a Treviri (Germania) nel 1818 e morto a Londra nel 1883 – dove trova posto il suo mausoleo, nella zona orientale del cimitero di Highgate –, è stato tra i più influenti filosofi sul piano politico, sociale ed economico nella storia del Novecento. Le sue teorie, insieme a F. Engels, sono state decisive sulla nascita delle ideologie socialiste e comuniste. Dalla rivoluzione russa del 1917 in poi, molti Paesi hanno tentato di applicare le teorie sociali ed economiche di Marx ed Engels tra cui l’Unione Sovietica, Cina, Mongolia, Vietnam del Nord, Yemen del sud, Corea del Nord e tanti altri. Basti pensare che nei primi anni ottanta, quasi un terzo della popolazione mondiale era governato da regimi comunisti. Dopo la caduta del muro di Berlino nel 1989, il crollo dell’Unione Sovietica e la protesta di piazza Tienanmen in Cina, con la conseguente apertura al libero mercato, le idee del pensatore di Treviri sembravano ormai accantonate, soppiantate da una politica liberista voluta da Margaret Thatcher e Ronald Reagan.
Bisogna fare una premessa: Marx ed Engels erano due teorici e organizzatori della “I Internazionale”, un’associazione pacifica che aveva il compito di coordinare l’attività dei vari movimenti socialcomunisti in Europa e anche in America. Altra cosa è stata l’applicazione delle idee marxiste da parte di Lenin, Stalin, Mao e così via, in partiti monolitici e dittatoriali nella politica nazionale ed internazionale. La rivoluzione proletaria auspicata da Marx non c’è stata, resta il fatto che aveva colto molto bene i pericoli del sistema capitalistico.  In questi ultimi anni il suo pensiero è stato rivalutato. Molti pensatori ed economisti hanno evidenziato che su molti punti non aveva tutti i torti. Anche il famoso settimanale americano “Time” qualche anno fa ha dedicato un’analisi molto ampia del pensiero economico di Marx sottolineando che le critiche del filosofo tedesco al capitalismo erano giuste.