Il viaggio non è
solo la scoperta di un luogo fisico, ma è, soprattutto, avventura dello
spirito, che può modificarci profondamente, modificando la percezione
– o la rappresentazione – che abbiamo del
mondo e di noi stessi. Ed infatti le arti, e la letteratura in
particolare, fin dall’antichità, hanno preso in esame il tema del viaggio come cammino
dell’uomo alla scoperta del mondo e di sé. Il viaggio, dunque, può essere
un percorso esistenziale, può esprimere inquietudine od insoddisfazione di
fronte alla banalità ed alla sicurezza del quotidiano; può esprimere il
coraggio dell’uomo che accetta di mettersi alla prova, pur consapevole dei
rischi di un percorso incerto, per la sfrenata sete di conoscenza, come lo
fu per Ulisse. Ma nel corso della storia, la letteratura ci ha
consegnato varie interpretazioni del viaggio: se il viaggio nell’antichità
comportava prevalentemente mistero, smarrimento, rischi e pericoli, oggi può
essere maggiormente sinonimo di svago, piacere ed arricchimento culturale. Ma
resta comunque un significato esistenziale che, probabilmente, determinando un
senso di vuoto nell’animo umano, deve essere colmato. Rappresentando
poi, al contempo, uno spaccato della società del tempo e
rapportandosi con questa, attribuisce di volta in volta un significato preciso
al tema del viaggio che diventa una combinazione
sempre diversa di elementi imprescindibili come scoperta, pericolo,
fuga, crescita, esilio, speranza e disperazione. Vediamo allora brevemente il
“senso” del viaggio nella storia della letteratura.
L’Epopea
di Gilgamesh, scritto in caratteri cuneiformi su tavoletta
d’argilla che risale a circa 4500 anni fa, è il poema più antico
e narra le gesta del re sumero che conobbe il mondo e divenne saggio in tutte
le cose grazie ai suoi viaggi. Al suo ritorno incise su pietra l’intera storia
per le generazioni future. L’Odissea di Omero è sicuramente il viaggio più
ricco di significati: Non è solo un ritorno alla nativa Itaca, ma è
formidabile rappresentazione plastica della natura dell’uomo,
alla continua ricerca della conoscenza, della sfida e del nuovo. Dopo
dieci anni di guerra e dieci anni di viaggio – tanto impiega per
tornare nella sua terra – Ulisse riabbraccia la moglie Penelope e il figlio
Telemaco. Ma non è solo un viaggio circolare, simbolicamente e
fattivamente di andata e ritorno, ma soprattutto il superamento di mille
ostacoli, di mille prove e di mille esperienze dati dalla continua sete di
conoscenza, di sfidare realtà sconosciute, occasione di confronto con un
mondo nuovo, e di adattamento a situazioni imprevedibili.
Un’altra tra le più note narrazioni della mitologia greca, quella degli Argonauti,
descrive il viaggio avventuroso di circa 50 uomini a bordo della nave Argo che,
sotto la guida di Giasone, li condurrà nelle ostili terre
della Colchide, alla riconquista del vello d’oro. Il senso di questo viaggio è
la consapevolezza del vuoto nelle cose e nell’esistenza umana, espressione di
un’epoca di crisi, quella ellenistica, di valori e certezze uniti ad una
visione pessimistica dell’esistenza.
La prima
bucolica di Virgilio, narra del doloroso distacco
di chi lascia le proprie cose: Ambientata in una campagna mantovana, oppone i
destini dei due personaggi principali, Titiro e Melibeo.
Mentre Titiro è placidamente sdraiato sotto un ampio faggio, osserva Melibeo
partire per un esilio senza possibilità di ritorno. Partire assume quindi un
significato doloroso, una lacerazione con il passato, un taglio non solo di chi
lascia le proprie cose ma anche gli affetti. Con l’Eneide,
invece, lo stesso Virgilio compone un poema epico che narra la leggendaria
storia di Enea, eroe troiano fuggito dopo la caduta di Troia che intraprende un
viaggio faticoso e doloroso per il Mediterraneo fino ad approdare nel Lazio per
fondare una nuova città, una nuova patria, un nuovo popolo. Il viaggio quindi è
il compimento di una nuova rinascita, di un nuovo inizio, di una nuova vita.
Con la nascita
del Cristianesimo il senso del viaggio assume un significato verticale, come un
passaggio dal corpo allo spirito, dall’imminente al trascendente, dall’uomo a
Dio. Dante Alighieri infatti nella Divina Commedia
dovrà attraversare prima l’Inferno, poi il Purgatorio ed infine il Paradiso
come acquisizione di conoscenza che conduce a Dio, mentre il viaggio
dell’Ulisse dantesco è definito dal poeta fiorentino come “il folle volo”
perché l’eroe greco è mosso dalla sete spasmodica di scoprire che lo porterà
alla morte, poichè privo della grazia di Dio.
Ma dal XII
secolo in poi, ci fu anche la ripresa di narrare l’esperienza reale del
viaggio. È il caso di Marco Polo che giunse in Cina
percorrendo la via della seta. Il Milione narra il
viaggio e la permanenza in Asia del mercante della Repubblica di Venezia,
trascritto in francese da Rustichello di Pisa. Si iniziano ad
aprire scenari nuovi; venivano intrapresi i viaggi sotto la spinta di esigenze
commerciali e religiose. Le scoperte geografiche successive, infatti, da Cristoforo
Colombo – che scopre l’America nel 1492 – fino alla scoperta
dell’Australia da parte di James Cook – nel 1770 -,
ebbero inevitabilmente implicazioni e conseguenze etiche, filosofiche,
religiose, politiche e scientifiche dal momento in cui l’uomo europeo
cominciava a confrontarsi con mondi e popoli profondamente differenti. L’Illuminismo
utilizzerà la descrizione dei viaggi nei Paesi lontani per esaltare il
principio della Ragione e del relativismo
contro i dogmatismi religiosi e i sistemi politici assoluti.
Nell’età
romantica però si assiste ad una frattura fra l’esperienza reale del
viaggio e la letteratura. Il tragitto non è più considerato scoperta di
mondi reali sconosciuti, ma un viaggio interiore alla ricerca di una
individualità inespressa e soffocata dal ristretto ambito sociale. Si sente il
bisogno di un ritrovamento del proprio io più profondo, e il viaggio assume un
significato negativo, quasi un’anticipazione della psicoanalisi e
dell’inconscio freudiano. È il caso del Faust di Goethe
ad esempio, un poema drammatico che racconta il patto tra Faust e Mefistofele,
un viaggio alla ricerca dei piaceri e delle bellezze del mondo, e si conclude
con la redenzione del Faust e della sua identità. Oppure Il Battello
Ebbro di Rimbaud, che ripropone il tema del
viaggio in senso metaforico che scardina le ragionevoli certezze della realtà.
La letteratura
del Novecento invece descrive il viaggio come una vana ricerca di un senso
della vita dell’uomo. È il caso dell’Ulisse di James
Joyce, considerato uno dei più importanti romanzi della letteratura
del XX secolo, che ripropone il topos del viaggiatore greco nella
moderna città di Dublino. Originale lo stile narrativo poiché molte parti del
racconto sono senza punteggiatura, ad indicare quella particolare tecnica di
scrittura chiamata “flusso di coscienza”. L’Ulisse di Joyce, a differenza di
quello omerico, sottolinea quasi con ironia la totale mancanza di eroismo, di
valori, di amore e di fede ormai perduti nel mondo moderno.
Nel secondo
dopoguerra, il filosofo e antropologo francese Claude Lévi-Strauss,
ha saputo mettere in evidenza il senso della fine o della trasformazione del
viaggio. In effetti, con i nuovi e veloci mezzi di trasporto, se da una parte
hanno consentito di eliminare difficoltà materiali riducendo la fatica negli
spostamenti, dall’altro scomparvero elementi importanti come l’aspettativa
dell’ignoto e la scoperta del diverso. Il viaggio divenne così un fenomeno di
massa e non più una ricerca individuale.
Ed ecco quindi
che la Beat Generation di Allen Ginsberg e Jack
Kerouac, che nasce tra le altre cose come il rifiuto del materialismo
e delle norme imposte, il viaggio viene visto non tanto come un senso di fuga
dalle responsabilità, ma per fondare nuove regole e stili di vita diversi. Più
precisamente, con il romanzo di Kerouac dal titolo On the Road,
il viaggio diventa una continua ricerca della libertà collettiva ed individuale
e nello stesso tempo una critica della religione e del capitalismo americano
che creano alienazione nell’uomo.
Nel 2016 è stato
pubblicato da Polis SA Edizioni, il libro di Mimmo Oliva e Peppe
Sorrentino dal titolo Mi chiamo Thiago. Anche qui gli
autori hanno voluto rappresentare l’uomo contemporaneo e il suo rapporto con il
mondo attraverso un viaggio metaforico; un cammino difficile, incerto, tortuoso
ma che vuole condurre Thiago verso una completa libertà fuori da ogni Sistema.
Anche il cinema
ha trattato il tema del viaggio e i suoi molteplici significati. In 2001: Odissea
nello spazio, tra i tanti significati che emergono dal film, Kubrick
immagina il viaggio siderale dell’uomo come un ritorno all’innocenza. Il film
infatti si conclude con le immagini di un bambino astrale che guarda verso la
telecamera, ad indicare l’importanza di continuare il nostro viaggio ma nello
stesso tempo ci esorta a liberarci da tutte le sovrastrutture che la società ci
impone e vedere la realtà con occhi nuovi.
Da sempre l’uomo
ha sentito un desiderio irrefrenabile di viaggiare, forse perché, come dice Marcel
Proust: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove
terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
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