venerdì 18 marzo 2016

Il rito e la sua funzione

Forse non esiste uomo al mondo che non compie quotidianamente dei semplici riti, piccoli gesti che regolano la sua giornata, senza per questo rientrare tra le personalità di tipo ossessivo-compulsive: preparare il caffè sempre con la stessa moka, utilizzare a tavola sempre lo stesso bicchiere, mettere le chiavi sempre nella stessa tasca dei pantaloni, indossare le scarpe iniziando sempre dal piede destro, sistemare il letto la sera in un certo modo prima di dormire, e così via. Anche tra i grandi personaggi dello sport si riscontrano riti scaramantici; l’elenco sarebbe lungo ma riportiamo qualche esempio: Michael Jordan per tutta la sua carriera indossò, sotto la divisa ufficiale dei Chicago Bulls, i pantaloncini della sua università di North Carolina. In campo calcistico, Marco Tardelli giocava con un santino infilato all’interno dei parastinchi quando giocava con la Nazionale o Giovanni Trapattoni che, durante i mondiali di Corea, aveva con sé una boccetta d’acqua santa. Anche nel mondo dei motori i piloti utilizzano riti ben precisi: Valentino Rossi prima di ogni gara si sistema per bene un punto preciso della sua tuta, mentre Loris Capirossi è sempre salito in sella alla sua moto dal lato destro. Nel tennis Rafa Nadal allinea perfettamente a bordo campo le bottigliette dell’acqua facendo attenzione che le etichette siano rivolte verso l’avversario mentre il campione di golf Tiger Woods durante le partite deve assolutamente indossare una maglia rossa.

Esiste una differenza tra il rito scaramantico e quello propiziatorio. Il rito scaramantico viene compiuto da coloro che pensano che il risultato della loro prestazione sia determinato dal fato o dalla fortuna, mentre il rito propiziatorio appartiene a quelle persone che pensano che il risultato della loro prestazione dipenda esclusivamente da se stessi. Uno dei riti propiziatori più conosciuti nel mondo dello sport probabilmente è la danza Maori che i neozelandesi All Blacks cantano e ballano prima di ogni partita di rugby. Lo scopo principale del rito propiziatorio è quello di migliorare la prestazione attraverso la concentrazione ed evitare di essere distratti da fattori esterni e prepararsi al meglio in vista di una prova; è anche un segno di appartenenza ad un gruppo che ha lo stesso scopo, quello di vincere. Anche molti studenti universitari si affidano ad un loro rito prima di sottoporsi ad un esame.
Ma esistono riti molto più importanti che hanno determinano il corso di un popolo, che hanno dettato le regole di una società, che hanno influito sulla cultura dell’uomo, e cioè il rito religioso. Il sociologo e antropologo francese Emile Durkheim sosteneva che il rito religioso sia una funzione sociale che permette di fondare o di rinsaldare i legami interni alla comunità; in effetti, in tutte le epoche storiche non esiste popolo che non abbia avuto i suoi riti: dai Sumeri ai Babilonesi, dagli Egizi ai Greci, dai Maya agli Inca, fino alle religioni contemporanee, i riti sono diventati delle norme a cui sottostare come appartenenza ad una comunità. I primi riti religiosi erano basati sul culto delle forze naturali, sulla sepoltura dei propri cari e sulla caccia quale fonte principale di sussistenza. In sintesi l’uomo religioso si affida al rito per esorcizzare il mistero o al contrario utilizza il rito per entrarci e cercare di conoscerlo; e in ogni rito si utilizza uno “oggetto” che diventa il simbolo per aprire la porta dell’abisso, per detenere il potere, per rappresentare una guida.
La letteratura mondiale ha spesso sottolineato l’importanza o la drammaticità del rito. Nel 1952, William Golding scrisse un celebre romanzo dal titolo “Il signore delle mosche” che ebbe un grande successo. Il libro racconta di un gruppo di ragazzini inglesi che sopravvivono in seguito al disastro aereo, trovando rifugio su un’isola disabitata. All’inizio si mettono subito all’opera e cercano di darsi delle regole precise per meglio sopravvivere in un luogo ostile e misterioso, ma subito dopo la loro vita diventa un incubo dove emergono paure irrazionali e di conseguenza comportamenti folli. La conchiglia diventa un simbolo di potere per chi la detiene, si dipingono il volto, inscenano strane danze, offrono sacrifici in onore di una bestia inesistente e infilzano la testa di un maiale ucciso precedentemente su un palo come un totem. Golding aveva certamente un’idea pessimistica della natura umana e forse non aveva tutti i torti se pensiamo ai tanti riti “sacrificali” che i popoli hanno adottato nel corso dei secoli e che sono presenti ancora oggi se pensiamo, ad esempio, ai milioni di agnelli che vengono uccisi ogni anno durante le festività pasquali.
Sembra che il rito non appartenga solo al genere umano ma sia presente anche nel mondo animale. È notizia di qualche giorno fa che Laura Kehoe e il suo team di ricercatori della Humboldt University of Berlin, dopo aver installato alcune telecamere, hanno potuto osservare come gli scimpanzé selvatici della Repubblica di Guinea presentino una forma di rito: nel video si vede un esemplare maschio di scimpanzé che si avvicina al tronco, afferra una roccia e la scaglia contro l’albero. Questo comportamento è stato riscontrato anche da esemplari appartenenti ad altri gruppi in zone diverse come in Liberia e nella Repubblica della Costa D’Avorio, gruppi quindi molto distanti tra loro. Non esiste un collegamento col procurarsi il cibo o per dimostrare la propria forza all’interno del gruppo. È ancora presto per trarre delle conclusioni; di certo questi tipi di comportamenti ci avvicinano ancora di più verso i nostri antenati. Il rito resta pur sempre un atteggiamento molto affascinante; è anche vero che grazie al metodo razionale e al progresso scientifico in diversi settori, molti riti sono ormai scomparsi.

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