Forse non esiste uomo al mondo che non
compie quotidianamente dei semplici riti, piccoli gesti che regolano la
sua giornata, senza per questo rientrare tra le personalità di tipo
ossessivo-compulsive: preparare il caffè sempre con la stessa moka,
utilizzare a tavola sempre lo stesso bicchiere, mettere le chiavi sempre
nella stessa tasca dei pantaloni, indossare le scarpe iniziando sempre
dal piede destro, sistemare il letto la sera in un certo modo prima di
dormire, e così via. Anche tra i grandi personaggi dello sport si
riscontrano riti scaramantici; l’elenco sarebbe lungo ma riportiamo
qualche esempio: Michael Jordan per tutta la sua carriera indossò, sotto la divisa ufficiale dei Chicago Bulls, i pantaloncini della sua università di North Carolina. In campo calcistico, Marco Tardelli giocava con un santino infilato all’interno dei parastinchi quando giocava con la Nazionale o Giovanni Trapattoni
che, durante i mondiali di Corea, aveva con sé una boccetta d’acqua
santa. Anche nel mondo dei motori i piloti utilizzano riti ben precisi: Valentino Rossi prima di ogni gara si sistema per bene un punto preciso della sua tuta, mentre Loris Capirossi è sempre salito in sella alla sua moto dal lato destro. Nel tennis Rafa Nadal
allinea perfettamente a bordo campo le bottigliette dell’acqua facendo
attenzione che le etichette siano rivolte verso l’avversario mentre il
campione di golf Tiger Woods durante le partite deve assolutamente indossare una maglia rossa.
Esiste una differenza tra il rito scaramantico e quello propiziatorio. Il rito scaramantico viene compiuto da coloro che pensano che il risultato della loro prestazione sia determinato dal fato o dalla fortuna, mentre il rito propiziatorio
appartiene a quelle persone che pensano che il risultato della loro
prestazione dipenda esclusivamente da se stessi. Uno dei riti
propiziatori più conosciuti nel mondo dello sport probabilmente è la
danza Maori che i neozelandesi All Blacks cantano e ballano prima di ogni partita di rugby. Lo scopo principale del rito propiziatorio è quello di migliorare la prestazione attraverso la concentrazione ed evitare di essere distratti da fattori esterni e prepararsi al meglio in vista di una prova; è anche un segno di appartenenza ad un gruppo
che ha lo stesso scopo, quello di vincere. Anche molti studenti
universitari si affidano ad un loro rito prima di sottoporsi ad un
esame.
Ma esistono riti molto più importanti
che hanno determinano il corso di un popolo, che hanno dettato le regole
di una società, che hanno influito sulla cultura dell’uomo, e cioè il
rito religioso. Il sociologo e antropologo francese Emile Durkheim sosteneva che il rito religioso sia una funzione sociale che permette di fondare o di rinsaldare i legami interni alla comunità;
in effetti, in tutte le epoche storiche non esiste popolo che non abbia
avuto i suoi riti: dai Sumeri ai Babilonesi, dagli Egizi ai Greci, dai
Maya agli Inca, fino alle religioni contemporanee, i riti sono diventati
delle norme a cui sottostare come appartenenza ad una comunità. I primi
riti religiosi erano basati sul culto delle forze naturali, sulla
sepoltura dei propri cari e sulla caccia quale fonte principale di
sussistenza. In sintesi l’uomo religioso si affida al rito per
esorcizzare il mistero o al contrario utilizza il rito per entrarci e
cercare di conoscerlo; e in ogni rito si utilizza uno “oggetto”
che diventa il simbolo per aprire la porta dell’abisso, per detenere il
potere, per rappresentare una guida.
La letteratura mondiale ha spesso sottolineato l’importanza o la drammaticità del rito. Nel 1952, William Golding scrisse un celebre romanzo dal titolo “Il signore delle mosche”
che ebbe un grande successo. Il libro racconta di un gruppo di
ragazzini inglesi che sopravvivono in seguito al disastro aereo,
trovando rifugio su un’isola disabitata. All’inizio si mettono subito
all’opera e cercano di darsi delle regole precise per meglio
sopravvivere in un luogo ostile e misterioso, ma subito dopo la loro
vita diventa un incubo dove emergono paure irrazionali e di conseguenza
comportamenti folli. La conchiglia diventa un simbolo di potere per chi
la detiene, si dipingono
il volto, inscenano strane danze, offrono sacrifici in onore di una
bestia inesistente e infilzano la testa di un maiale ucciso
precedentemente su un palo come un totem. Golding aveva
certamente un’idea pessimistica della natura umana e forse non aveva
tutti i torti se pensiamo ai tanti riti “sacrificali” che i popoli hanno
adottato nel corso dei secoli e che sono presenti ancora oggi se
pensiamo, ad esempio, ai milioni di agnelli che vengono uccisi ogni anno
durante le festività pasquali.
Sembra che il rito non appartenga solo
al genere umano ma sia presente anche nel mondo animale. È notizia di
qualche giorno fa che Laura Kehoe e il suo team di ricercatori della Humboldt University of Berlin,
dopo aver installato alcune telecamere, hanno potuto osservare come gli
scimpanzé selvatici della Repubblica di Guinea presentino una forma di
rito: nel video si vede un esemplare maschio di scimpanzé che si
avvicina al tronco, afferra una roccia e la scaglia contro l’albero.
Questo comportamento è stato riscontrato anche da esemplari
appartenenti ad altri gruppi in zone diverse come in Liberia e nella
Repubblica della Costa D’Avorio, gruppi quindi molto distanti tra loro.
Non esiste un collegamento col procurarsi il cibo o per dimostrare la
propria forza all’interno del gruppo. È ancora presto per trarre delle
conclusioni; di certo questi tipi di comportamenti ci avvicinano ancora di più verso i nostri antenati.
Il rito resta pur sempre un atteggiamento molto affascinante; è anche
vero che grazie al metodo razionale e al progresso scientifico in
diversi settori, molti riti sono ormai scomparsi.
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