Padova – Era il 2 settembre 2015 quando è stata pubblicata la foto del corpo senza vita del piccolo siriano di nome Aylan Kurdi
di tre anni, trovato sulla spiaggia di Bodrum in Turchia. L’abbiamo
vista tutti. Tante volte da far scattare in molti un rigetto, un
meccanismo di protezione simile all’indifferenza. Indossava una
maglietta rossa e un paio di pantaloncini blu, con il volto rivolto
sulla sabbia. La foto scosse inevitabilmente il mondo intero. Il piccolo
perse la vita in seguito al naufragio di un barcone. La famiglia
tentava di raggiungere l’isola greca di Kos, in fuga dalla guerra in
corso a Kobane, zona di aspri combattimenti nel nord
della Siria con i jihadisti dell’Is. Nella tragedia annegarono anche
l’altro fratellino di 5 anni e la mamma, mentre il padre riuscì a
salvarsi. La foto divenne subito un simbolo evidente della scarsa
volontà della politica europea e internazionale di trovare una soluzione
di fronte al problema dei profughi. Nonostante la commozione iniziale e
i buoni propositi dei politici, ancora oggi assistiamo uomini, donne
e bambini che continuano a fuggire da molte zone di guerra di cui
l’Occidente è in gran parte responsabile. Da settembre 2015 a marzo 2016
sono morti altri 340 bambini nel mediterraneo. Ed gli accordi che
recentemente sono stati siglati proprio in Europa, proprio in nome
nostro, potrebbero aumentare le sofferenze di questi disperati, pur di
nascondere la portata di questa tragedia ai nostri occhi.
Al di là delle discussioni politiche ed
economiche, tuttavia, in questa rubrica vogliamo soffermarci su un altro
aspetto che ci riguarda da molto vicino. Talmente da vicino da essere
nella nostra stessa intimità più profonda e radicata. La morte di Aylan
ha posto degli interrogativi anche sotto un profilo religioso. Dopo aver
visto quell’immagine, molti si saranno chiesti: “Ma dov’era Dio in quel momento?”
Dall’alba del pensiero, passando per i Padri della Chiesa e fino ad
oggi, si è cercato sempre di trovare una conciliazione tra un Dio
infinitamente buono, onnipotente e onnisciente e la sofferenza di un
essere innocente, di un bambino.
Tra i grandi personaggi della letteratura mondiale, non si può non tener conto della riflessione di Fëdor M. Dostoevskij, (Mosca, 1821 – San Pietroburgo, 1881), scrittore e filosofo russo, che su questo tema ha scritto delle pagine strazianti. Ne I fratelli Karamazov del 1880, l’ultima e forse la sua più grande opera prima di morire, mette in contrapposizione Dio e la sua negazione, libero arbitrio e caos, ragione e dubbio, fede e morale.
Ivan, uno dei personaggi del romanzo, si ribella a Dio, non potendo
accettare che una divinità che si vuole infinitamente buono e
onnipotente permetta la sofferenza di un bambino innocente: “Ascolta: se
tutti devono soffrire per acquistare con la sofferenza l’eterna
armonia, che c’entrano qui i bambini? Dimmelo, ti prego! Non si capisce
assolutamente a che scopo debbano anch’essi patire e perché debbano
acquistarsi con le sofferenze quell’armonia. Perché hanno servito
anch’essi da materiale e da concime per preparare a vantaggio altrui
l’armonia futura? La solidarietà fra gli uomini nel peccato io la
comprendo, comprendo la solidarietà anche nella espiazione: ma la
solidarietà nel peccato non riguarda i bambini e, se la verità sta
realmente nel fatto che anche loro sono solidali coi padri in tutti i
delitti da questi commessi, una tale verità non è certo di questo mondo e
mi riesce incomprensibile”.
Nonostante i sofismi di Agostino d’Ippona, come giustamente aveva già notato Schopenhauer,
la teodicea agostiniana non risolve il senso della sofferenza degli
individui e in particolare dei bambini, cioè quelle creature nelle quali
il cosiddetto libero arbitrio non è stato ancora concesso. Il problema
sollevato in questa pagina da Dostoevskij, non ha mai trovato soluzione
in nessuna teologia. Un bambino portato alla sofferenza ed alla morte,
torturato dagli uomini o dalla malattia, sottrae alla teodicea ogni
spiegazione a meno che ammettiamo due cose: o Dio c’è ma non si cura
degli uomini, oppure Dio semplicemente non c’è.
Un paleontologo e sociologo di nome Gregory Scott Paul,
nato a Washington nel 1954, in questi ultimi anni si è dedicato alle
interazioni tra religione e società ottenendo una risonanza
internazionale. Paul considera il male dei bambini un problema
fondamentale, infatti ha
calcolato che a partire da circa cinquantamila anni fa, quando l’Homo
Sapiens apparve per la prima volta sulla terra, siano nate circa 100
miliardi di persone. Ha poi stimato, secondo complicati calcoli, il
tasso di mortalità dei bambini in tutto questo periodo. Di questi 100
miliardi di persone, ha rilevato che le morti dei bambini abbiano
superato il 50% e sono state per lo più causate da malattie, escludendo
aborti spontanei. Quindi questo significa che, nel corso della
storia umana, oltre 50 miliardi di bambini sono morti prima che fossero
abbastanza grandi per esser considerate maggiorenni e di aver sviluppato
il libero arbitrio. Basti pensare che ancora adesso, secondo i
dati dell’Unicef, ogni giorno muoiono nel mondo 18 mila bambini sotto i
5 anni a causa della malnutrizione.
Dati impressionanti che ci pongono di
fronte al senso del male ogni volta che vediamo un bambino soffrire e
morire. Perché un Padre, pur conoscendo il futuro di ogni individuo,
dona la vita per poi far morire i suoi figli subito dopo la nascita?
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