L’idea
della sfericità della terra era presente già nell’antica Grecia del VI secolo
a.C., sostenuta probabilmente da filosofi come Pitagora, Empedocle e Parmenide. Di
certo è stato Aristotele ad aver fornito prove empiriche a sostegno dell’idea
di una Terra sferica. Tra le varie argomentazioni contenute nel De caelo, spiegò che l’ombra della terra
sulla luna è rotonda durante una eclisse lunare[1]. In
seguito, grazie agli studi di Tolomeo, vissuto nel II secolo d.C., la
concezione della sfericità della terra era un dato acquisito anche nel
Medioevo, anche se le nozioni di geografia erano vaghe e imprecise.
L’esplorazione marittima a sud dello stretto di Gibilterra era cominciata nel
1415 grazie all’abilità e all’esperienza dei marinai portoghesi, ma fu il
genovese Cristoforo Colombo (Genova, 1451 – Valladolid, 1506), a concretizzare il
progetto di raggiungere l’Oriente circumnavigando la Terra verso Occidente.
Grazie ai finanziamenti ottenuti dalla regina Isabella di Castiglia e da
banchieri italiani, il 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo raggiunse con ogni
probabilità l’attuale isola di Watling nelle Bahamas battezzata dall’ammiraglio
San Salvador, ma fino alla morte fu convinto di aver toccato l’Asia e non di
aver scoperto le Americhe. Quando i primi spagnoli toccarono terra, fu
sconcertante per loro constatare che gli Indios non avevano mai sentito parlare
di Gesù, della Bibbia, della Chiesa, ma addirittura avevano una religione
completamente diversa dal cattolicesimo.
La
scoperta del Nuovo Mondo fu l’inizio della distruzione dei grandi imperi dei
Maya, degli Aztechi e degli Incas. Il primo conquistador
a sbarcare in Messico, nel territorio degli Aztechi, fu Hernan Cortés
(1485-1547) che pose fine all’impero azteco nel 1521. Proseguì il suo viaggio
per sottomettere anche i Maya; l’impresa fu più ardua poiché i Maya non avevano
un potere centrale come gli Aztechi ma una politica caratterizzata da numerose città-stato.
Agli spagnoli infatti occorsero circa 170 anni per riuscire a sottomettere
tutte le città-stato dei Maya. Lo
spagnolo Francisco Pizarro (1475-1541) invece sottomise il popolo Inca.
L’impero si estendeva da nord a sud per circa 4000 chilometri, dall’Ecuador
settentrionale al Perù, alla Bolivia occidentale, al Cile settentrionale.
Questo non impedì agli spagnoli di cancellare anche questo popolo. Hernan
Cortés, Francisco Pizarro, Hernando De Soto e centinaia di altri Conquistadores
spagnoli saccheggiarono e annientarono, in nome del loro Signor Gesù Cristo,
queste grandi civiltà dell’America centrale e meridionale. Lo stesso Bernal
Diaz del Castillo, cronista della spedizione di Cortés disse: “Siamo venuti per
servire Dio e il Re e anche per diventare ricchi[2]”. Gli
Spagnoli ridussero le popolazioni indigene in schiavitù, costringendoli a
lavorare nei campi, nei laboratori di tessitura e soprattutto a scavare nelle
miniere di oro e di argento. In pochi decenni, la conquista sconvolse
l’organizzazione economica e sociale, la cultura, i modi di vita delle
popolazioni indigene. Nell’arco di un secolo la popolazione indigena, che
contava quasi 80 milioni di abitanti all’epoca della conquista, venne ridotta a
poco meno di 4 milioni: una vera e propria catastrofe demografica, causata
prima dalla cattolicissima Spagna ed in seguito dagli altri stati europei. Le
conseguenze di questa catastrofe non si limitò solo alle Americhe: per
sfruttare le nuove terre oltreoceano gli Europei organizzarono piantagioni di
canna da zucchero, di caffè, di tabacco e di cotone: era necessario avere molta
manodopera a basso costo ma gli Amerindi erano stati quasi tutti sterminati. I
portoghesi risolsero questo problema trasportando i neri dall’Africa in
America, dove venivano ridotti in schiavitù. In questo modo iniziò la tratta
degli schiavi[3]. La
completa distruzioni delle civiltà precolombiane da parte dei popoli cristiani,
rappresenta uno dei terribili paradossi storici della dottrina della Chiesa,
dell’amore per il prossimo, della povertà e della misericordia.
[1] De caelo 297b31-298a10
[2] Historia verdadera de la conquista de la Nueva
España,
pubblicato postumo a Madrid nel 1632
[3] G. Gentile, L. Ronga, A. Rossi, Multistoria, Editrice La Scuola, Milano, 2014.
Nessun commento:
Posta un commento