Forse non è un caso
che, nella seconda metà del V secolo a.C. ad Atene si sviluppò la sofistica,
una corrente filosofica che perfezionò le tecniche della dialettica per
confutare, affermare, polemizzare e persuadere le persone. I sofisti ponevano
al centro della riflessione l’uomo e le problematiche relative alla morale e
alla vita sociale e politica. Erano dei sapienti, che insegnavano dietro
compenso, aspetto questo che portò a giudicare male questa corrente perché
interessati al successo e ai soldi, più che alla verità. Misero in atto un
sostanziale relativismo etico per cui veniva riconosciuto il valore delle norme
solo in relazione alle usanze della città in cui si trovavano ad operare e si
adeguavano pur di avere successo.
In realtà nel XIX
secolo la sofistica è stata rivalutata come un periodo fondamentale della
filosofia antica e non venne più vista come una corrente negativa; ma quanta
sofistica, nell'accezione negativa del termine, è presente oggi nel linguaggio
politico del nostro Paese?
Il linguaggio
contemporaneo della classe dirigente nostrana (e a quanto pare ciò vale un po’
in generale) è fatto di tanta apparenza e poca sostanza, pur di raccogliere il
maggior consenso possibile. Un problema, questo, che purtroppo non è nuovo, e
per il quale pare siamo ancora lontani da una soluzione definitiva. Dal 1993 ad
oggi, cioè dalla cosiddetta discesa in campo di Silvio Berlusconi, sin all'attuale Presidente del Consiglio Matteo Renzi – per guardare ad un periodo storico
piuttosto recente tal da non forzare memoria e competenze dei più -, l’Italia è
stata farcita da slogan e promesse elettorali mai realizzate: sul lavoro, sulla
“ripresa”, sulle banche, sui migranti, sui diritti civili, ambiente, scuola,
sanità, tassazione e via discorrendo…
Grazie anche al sapiente utilizzo dei mezzi d’informazione partigiani
e/o main-stream, sono passati messaggi surreali, imbonitori, che hanno costruito
nelle menti di ciascuno un modello di realtà funzionale ad una visione della
società molto particolare… Innescando dinamiche di crescente insoddisfazione e
scontro – pure fittizio – tra le parti in causa che si tradotto in un
linguaggio politico sempre più violento. L’obiettivo è chiaro: creare tra
l’opinione pubblica e la politica reale una coltre, uno specchietto per le
allodole fatto di disinformazione, conflitti apparenti, lotta di classe
addomesticata, etc…
In tal modo cause ed
effetti – pur molteplici, di fatti, si sono sommati: la rappresentanza, ad
esempio, è stata relegata a mera questione formale prima e, infine, neppure più
la forma è stata rispettata….
Si è passati col
tempo dal discorso argomentativo e quello assertivo. Come spiega bene
l’antropologa Amalia Signorelli, il discorso argomentativo si svolge secondo il
filo del ragionamento, esplicitando le premesse da cui parte, chiarendo i
perché della scelta delle premesse e dei fatti che ne conseguono e concludendo
con previsioni di risultati anch'esse razionalmente argomentate. È un discorso
che non confonde la parte con il tutto, il singolare con il plurale; è un
discorso basato su una corretta coniugazione dei verbi, sicché non confonde il
presente con il desiderabile futuro; è un discorso che tiene conto del fatto
che, quando si vuol cambiare qualcosa, bisogna intervenire anche sulle cause
che hanno prodotto quella cosa… Il discorso assertivo invece è tutt'altra cosa:
afferma, dichiara, definisce, prevede e prescrive, senza preoccuparsi di spiegare
a chi ascolta né il perché, né il come, né il quando, né con quali mezzi e
risorse. È un tipo di discorso che fa coincidere nome e cosa, affermazione e
fatto. Spesso i politici di professione usano il linguaggio assertivo: è
semplice da capire, diretto, immaginoso, tocca le corde profonde degli
ascoltatori e consente con facilità di camuffare contraddizioni, di evitare
rendicontazioni, in una parola di eludere i conti con la realtà.
Un chiaro esempio
tra discorso argomentativo e assertivo lo abbiamo colto nel confronto sul
referendum costituzionale tra Zagrebelsky e Renzi; da una parte il giurista
affermava secondo principi logici di causa ed effetto che la nuova legge
costituzionale creerà ulteriori complicazioni, dall'altra Renzi ripeteva
secondo uno schema enfatico la validità della riforma. A prescindere dalla
verità o falsità della discussione, a molti Renzi è sembrato più efficace non
perché seguisse un metodo logico e rigoroso ma per una maggiore capacità nel
comunicare. D'altronde ciascuno sa che una menzogna detta bene è più efficace
di una verità detta male. Ed ecco allora tutti aggrappati ad una grammatica di
Babele per cercare di capire tutto ed il contrario di tutto di una stessa
lingua: l’italiano. Di fronte alla dialettica eristica della nostra classe
dirigente – inclusi mass-media ed autorità in generale … -, ci sono due aspetti
che dovremmo SEMPRE tener presente per difenderci:
1) sviluppare un
maggior senso critico, cercando di approfondire e confrontare ogni argomento il
più possibile;
2) diffidare di
coloro che dalle promesse non fanno seguire le azioni.
Forse aveva ragione
George Orwell quando disse “Il linguaggio politico è concepito in modo che le
menzogne suonino sincere e l’omicidio rispettabile, e per dare una parvenza di
solidità all'aria.”
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